L’appuntamento è alle due e mezza del pomeriggio nel Santuario dell’Impruneta. Siamo in tanti: alcuni arrivati in pullman, altri in auto. Ci salutiamo, ci abbracciamo. È la prima occasione d’incontro dopo la pausa estiva. Anche quest’anno ci ritroviamo per partecipare al pellegrinaggio che ci condurrà fino alla Basilica della Santissima Annunziata. È il 7 settembre, vigilia della natività di Maria, una festa molto sentita dai fiorentini, che coincide tra l’altro con quella della Rificolona.
Il pellegrinaggio a piedi si ripete ormai da tredici anni dopo che un gruppo di amici ha ripreso un’antica tradizione del Seicento. La cosa bella è accorgersi però che ogni volta non assistiamo alla ripetizione meccanica e scontata di un momento ma al riprodursi di un Avvenimento in cui il Mistero si rende presente attraverso alcuni fatti che accadono davanti ai nostri occhi.
Prima di partire, ci sistemiamo in chiesa dove viene cantato per la prima volta il nuovo inno del pellegrinaggio intitolato “Cammina qui con noi” e scritto da Stefano Poli, che tutti chiamiamo Lillo. È un canto molto bello che si rivolge direttamente a Maria a cui chiediamo di essere “sostegno in questo tempo e porta per l’Eterno / per goder del Tuo bel viso un giorno in Paradiso”.
Subito dopo prende la parola don Elia Carrai che ci introduce al significato del gesto che ci apprestiamo a compiere. Per farlo utilizza una frase sulla preghiera di don Luigi Giussani che risveglia le nostre coscienze e poi aggiunge: “Non c’è testimone più grande, più familiare, più amica
da guardare se non la Madonna, tutta piena della coscienza del Mistero di Dio. Non sopra di sé, non oltre sé, ma nelle viscere della Sua vita. Iniziamo questo gesto come mendicanti, innanzitutto di questa coscienza povera della Madonna, di poter sentire la propria vita, la vita dei nostri figli, la vita cristiana, le circostanze, con il cuore di Maria. Immedesimarsi con Lei sarà un lungo camminare. Non importa se ci distrarremo, faremo sicuramente fatica, ma tutto questo ci aiuta a chiarire ancora di più la natura vera dei nostri bisogni”.
Mentre sono seduto al banco ad ascoltare queste parole, si avvicina Cristina, una delle organizzatrici del pellegrinaggio, che mi chiede la disponibilità a portare la croce quando sarà il momento di iniziare. Un invito totalmente inaspettato che accolgo molto volentieri e che mi riporta alla mente l’invito di Gesù a Pietro presso il lago di Gennèsaret a prendere il largo e a gettate le reti per la pesca, che avevo sentito al Vangelo della messa della mattina. Attraverso un’amica, anche a me il Signore chiede in questo momento di prendere il largo, di fidarmi di Lui, di fare il cammino, di non avere paura della stanchezza. Io che sono arrivato qui pieno di dubbi, di domande, di incertezze…
Ho camminato con la croce in mano per tre chilometri a fronte dei circa quindici che abbiamo percorso. È stata una distanza breve ma significativa, che mi ha permesso di gustare il gesto che stavo compiendo, soprattutto riandando alle ragioni e alle domande che mi avevano portato qui. E poi è stato meraviglioso constatare il popolo orante e silenzioso che mi sosteneva alle spalle; un popolo fatto di tanti giovani e bambini ma anche di adulti e di anziani, tutti presi da questa Presenza che ha affascinato le nostre esistenze.
Dopo una prima sosta a San Giusto ad Ema, al tramonto siamo arrivati a San Michele a Monteripaldi. È il momento di rifocillarci prima dell’ultimo tratto che ci porterà in centro a Firenze. Dopo aver mangiato, vado a trovare gli amici che sono seduti sui muretti. Mi accorgo che uno di loro ha avuto un malore a causa della fatica della salita impegnativa delle Cascine del Riccio. Viene soccorso da un volontario della Misericordia che gli copre il corpo con la coperta isotermica. Mentre sono lì con lui il pensiero è andato all’episodio che tante volte ha raccontato don Eugenio Nembrini. Un ammalato che fa parte del gruppo del quadratini sta andando in ospedale trasportato dall’ambulanza. Anche lui è avvolto nella coperta color oro. Si scatta una foto con cellulare e la manda agli amici scrivendo: “Gesù per ricordarmi che sono una cosa preziosa mi ha avvolto nella carta regalo”. Una letizia e una certezza che ho visto anche nei volti del mio amico sofferente e della sua moglie che purtroppo abbiamo salutato perché diretti al pronto soccorso.
In Costa San Giorgio la preghiera si è trasformata in canto di gioia e di festa. Vogliamo che al nostro arrivo a Santa Felicita la città si accorga del nostro passaggio. Accendiamo le candele e cantiamo. Una volta in chiesa riprende il silenzio. È il momento dell’adorazione del Santissimo
Sacramento e della benedizione eucaristica. Nel frattempo ci hanno raggiunto altri amici ma anche tanti bambini con in mano le rificolone. Il corteo si ingrossa quando in Piazza Signoria, davanti a Palazzo Vecchio, veniamo accolti e salutati dall’assessore Sara Funaro che poi camminerà con noi e con il cardinale Giuseppe Betori, che ci aspetta in Piazza Duomo.
Con in testa il Gonfalone del Comune e del Pellegrinaggio e con la Croce raggiungiamo piazza della Santissima Annunziata, circondati da ali di curiosi e turisti che non smettono di salutarci e di fare foto, incuriositi dalla nostra presenza festante e gioiosa. C’è la premiazione della migliore
rificolona, un premio intitolato alla memoria di Graziano Grazzini, di cui proprio il giorno precedente abbiamo commemorato all’anniversario della prematura scomparsa. Mi colpisce non solo e non tanto la bellezza dei lavori prodotti dai bambini e dalle loro famiglie per questa tradizione fiorentina quanto le parole di saluto pronunciate dal vescovo.
A noi che siamo qui per fare festa, Betori ricorda che in questa piazza manca Kataleya, la bambina peruviana di cui non si hanno più notizie da tre mesi. “Dobbiamo ricordarci sempre di lei, non diamo per scontato che lei sia scomparsa. Teniamola sempre nel cuore con la speranza che torni presto tra noi. Non solo di lei dobbiamo occuparci però perché le statistiche ci dicono che la soglia della povertà cresce sempre di più. Tanti bambini poveri non possono essere qui tra noi, sono ai margini della nostra società. Non dimentichiamoli, non dimentichiamo Kata e tutti i bambini che soffrono a causa della povertà, anche in mezzo a noi”.
Un appello che scuote la piazza e che ci permette di immedesimarci nel bisogno degli altri, a iniziare dalle tante persone che ci hanno chiesto di pregare per le loro necessità durante questo giorno. Perciò, nonostante la stanchezza e la fatica, l’ultimo atto non può che essere la preghiera dell’Angelus nella Basilica della Santissima Annunziata dove veniamo accolti dai frati Servi di Maria. Qui il cardinale si rivolge ai pellegrini, si rivolge direttamente a noi.
“Vi dico che voi siete acqua alle radici, alle radici di quello che è il senso stesso di questa festa. Bella la piazza piena ma la radice di tutto quello (la festa della rificolona, ndr) è in questo luogo. Se non ci fosse stato l’affetto a Maria dei fiorentini e della gente attorno a Firenze noi oggi non saremmo qui. Continuare questo legame della radice, quindi della fede mariana, con il ritrovarsi insieme della città, è il vostro compito. Perciò stasera vi dico grazie per il vostro impegno e la vostra fatica e vi chiedo di proseguire per alimentare le radici non solo di questa festa ma di tutta la città”.
C’è quindi un compito ed una missione da portare avanti così come c’è da essere lieti per quanto abbiamo vissuto. Si torna a casa più certi, più coscienti, più desiderosi di scoprire ciò che il Mistero, attraverso la realtà e gli amici, ci chiamerà a vivere perché il Vangelo sia testimoniato sempre di più nella carne da ciascuno di noi, proprio come ha fatto Maria di cui oggi festeggiamo il compleanno.